Folletti, streghe, santi e druidi in Val Clarea - Wu Ming - Internazionale

2021-11-16 11:47:18 By : Mr. Morgan Zhao

Storie del movimento No Tav

Gli elfi della foresta cercano Giacu, "il compagno che ha l'abitudine di perdersi a Clarea". Sbucano sul sentiero che costeggia il cantiere-fortezza, si sparpagliano per il perimetro, chiamano a gran voce l'amico e battono sulle reti, sdeng! sdeng! sdeng! I raggi di luna fanno brillare gli alti grovigli di nastro spinato o, più appropriatamente, filo spinato. Posto lì per torturare la carne di chi cercava di scavalcare le ringhiere, si stringeva meglio di un cappio intorno alle gambe, alle braccia o al busto della vittima. Non ha spine, ma vere lamette da barba, quelle che il Rettore voleva tagliarle le vene,

ploploploploplo, promette bene stasera dalle falene, dammi, dammi, dammi, senti come taglia questo canaglia, ma che poltiglia ...

Dentro il cantiere, il rumore della corsa, ordini urlati con una voce densa di sonno, il crepitio dei walkie-talkie, l'accensione dei motori, l'accensione dei fari.

Giacu è una leggenda. Si è perso in Val Clarea un paio di anni fa, durante o dopo lo sgombero armato della Libera Repubblica di La Maddalena (27 giugno 2011). Da allora non ci sono state spedizioni per cercarlo. Ogni tanto appare, lo vedono gridare qualcosa, ma subito si tuffa di nuovo nel bosco, tra i castagni. Cercarlo è un ottimo pretesto per fare una "passeggiata", come li chiamano qui: si arriva "in Clarea" a sorpresa, dopo escursioni su sentieri che partono da Chiomonte, Giaglione o Ramats, alcuni dei quali ancora sconosciuti l'occupante. Come afferma un giovane intervistato nel libro A will düra (Derive Approdi 2012): “Piccoli gruppi mobili che attaccano contemporaneamente diversi punti del perimetro sono in grado di abbattere l'intero dispositivo di sicurezza”.

Attacco. Può significare tante cose: si va dal taglio delle reti ai piccoli gesti di guerriglia comunicativa. In genere la gente viene qui per fare casino, come "Charlie" in Vietnam quando ha impedito agli invasori di dormire, ma c'è anche chi viene a pregare. Questo è ciò che i cattolici fanno ogni giorno per la vita della valle: vengono in pellegrinaggio alla statua votiva di Padre Pio (un Padre Pio No Tav!) posta vicino alle reti, accanto a un crocifisso di sbarre d'acciaio piegato, circondato da un alone di filo spinato. È tutto materiale dalle reti e dal New Jersey. Un crocifisso costruito con sabotaggio.

Solo in Val di Susa il frate di Pietrelcina poteva diventare un'icona dell'antagonismo. Questo détournement si rivelò una mossa più che appropriata: l'orda di Unni che non esitò a passare con i crawler su una inestimabile necropoli neolitica, si tolse l'elmo davanti a Padre Pio, come Attila davanti a Papa Leone. La statua li mette a disagio, non ha subito ritorsioni di altri beni e simboli No Tav. Nessuno ha osato rimuoverlo.

Il movimento si dotò anche di un inno beffardo, Santo Padre Pio, da cantare sulla musica di Pulcino Pio: "In valle c'è campeggio / in valle c'è campeggio / e il campeggio resiste / e ventilatori a gas malamente / e le reti cadono / e l'idrante schizza / […] / santo padre Pio / santo padre Pio / santo padre Pio ..”.

A che serve venire ogni giorno in Clarea a pregare? Ce lo spiega Gabriella Tittonel del gruppo di preghiera: “La nostra è una presenza come quella dell'acqua quando scorre in un ruscello, vedi e non te ne accorgi, ma quell'acqua sta limando lì. È archiviare, è archiviare, è archiviare situazioni. Non capiscono questa nostra presenza e per loro sta diventando complicato: come si picchia chi ci va solo per pregare? È un modo non violento, ma assolutamente determinato, di perseguire queste nostre ragioni. Continuiamo a spiegarglieli ogni giorno, finché possiamo; e ci aspettiamo che ci salutino, perché ormai ci conoscono. Andare ogni giorno significa per noi che chi sta dall'altra parte si riconosce come persone umane e non come le solite bestie che vorrebbero essere. Quindi, se non ci salutano, li rimandiamo indietro e se si ostinano a non salutarci, pazienza”.

Infatti. C'è chi viene quassù per non far altro che dire "buongiorno" e "buonasera" ai carabinieri, e può sembrare strano ma basta, ricordare a chi è là dentro che il mondo è qua fuori, in questa terra là è una comunità in lotta, con tutto il suo calore ei suoi vincoli di solidarietà. Non ci vuole molto, e il filo del rasoio sembra rivolto nell'altra direzione: non sbarra la strada a chi è fuori, ma tiene prigioniero chi è dentro.

Tecnicamente si chiama "alienazione": essere separati dallo scopo del proprio lavoro. È già alienante occuparsi di "ordine pubblico", dover picchiare studenti che potrebbero essere i tuoi figli e fratelli minori, picchiare lavoratori che potrebbero essere... te. Ma si tratta di "ordine pubblico" qui a Clarea... Giorno dopo giorno, notte dopo notte, settimane e mesi per proteggere i fantasmi, per custodire il nulla...

Chi non conosce il progetto della Tav Torino-Lione (ma sarebbe meglio dire Tav Susa-Saint Jean du Maurienne) potrebbe rimanere sorpreso: in che senso “presiedere al nulla”? Abbi pazienza, ci arriviamo.

Il sottotesto delle azioni disturbanti, grandi o piccole che siano, è: “Ma capisci cosa ti fanno fare? Sì, è lavoro, ma c'è lavoro e lavoro. Sì, è un dovere, ma c'è un dovere e un dovere”. È la "strategia dell'attrito". È condotta da donne e uomini, operai e borghesi, contadini e precari, giovani e anziani. Gli "elfi" che cercano Giacu, si racconta, sono una compagnia di anziani signori, vecchi amici che ne hanno passate tante insieme. I loro blitz, in un altro contesto, sarebbero "zingari", come quelli di Mascetti, Necchi, Perozzi, Melandri e Sassaroli, ma tra i No Tav anche uno zingaro fa parte della lotta per la difesa della loro terra.

Le forze dell'ordine sono sempre colte alla sprovvista. Una volta, raccontano gli elfi in uno dei loro comunicati, i poliziotti "erano così storditi che uno ha iniziato a urlare: 'Presto, presto, prendi il gas lacrimogeno!' (i Goblin erano pochi e il soldato, forse, pensava di essere in Afghanistan tra i talebani assetati di sangue)”.

Un'altra volta, un enorme idrante è apparso da dietro il recinto, Giacu ha urlato: "Mi la doccia la fasu nen, a fa trop freid!" e i goblin sono svaniti, frustrando gli spruzzatori in uniforme.

Ogni volta Giacu scompare e torna a cingersi di mistero, ma ieri lo abbiamo visto. Era con noi e altre settantamila persone, forse di più, nella marcia da Susa a Bussoleno. Un grande burattino vestito di verde, un berretto blu in testa e una piccozza in mano. Un elfo di montagna, un goblin. Un gruppo di anziani signori lo circondava. Vecchi amici. Sul retro, una scritta gialla: "GIACU".

Giacu non è l'unica manifestazione notturna del paganesimo No Tav. Meno di un mese dopo lo sgombero della Libera Repubblica, ebbe luogo un "sabba" di "streghe No Tav". Nel dispaccio dell'Ansa si legge perplessità:

GIAGLIONE (TORINO), 24 lug - Una sorta di 'incantesimo' contro la recinzione del cantiere Tav è stato lanciato in serata da un gruppo di donne No Tav nell'area del viadotto dell'autostrada del Frejus in Val Clarea. Le donne, in questa iniziativa che mescolava sarcasmo, goliardia ed esoterismo, si sono avvicinate alle recinzioni al calare dell'oscurità e, alzando le mani al cielo, hanno intonato una cantilena sotto gli occhi della polizia. Alcuni indossavano cappelli a punta simili a quelli delle streghe delle fiabe.

Il giorno dopo un terremoto fu avvertito in tutto il Piemonte. Le streghe sono uscite dal campeggio, si sono appoggiate alla recinzione e hanno gridato ai poliziotti: “Ce l'abbiamo fatta! È la montagna che parla! Dice che non ti vuole! ”.

Altri riti pagani nella valle, invocazioni alla Madre Terra, si devono al poeta cileno Rayen Kvyeh, ambasciatore della lotta degli indiani Mapuche contro le persecuzioni, le "grandi opere" che li circondano assediati e le discariche che avvelenano le loro terre. Oggi, nelle comunità mapuche, capita di vedere sventolare bandiere No Tav.

A pensarci bene, anche Asterix e Obelix sono pagani. Nei fumetti, quando c'è un colpo di scena o una brutta sorpresa, giurano e chiamano in causa Toutatis e Belenos.

I due personaggi di Goscinny e Uderzo sono quasi onnipresenti nella comunicazione No Tav. L'immagine simbolo dell'unità del movimento anche di fronte a razzie, carcerazioni e condanne è Obelix che fa esplodere le sbarre di una cella con una panzata: "LA VALLE NON SI FERMA". All'epoca della Libera Repubblica di Venaus (2005) e delle Olimpiadi invernali di Torino, il movimento creò un intero albo pirata, Asterix e la tregua olimpica, con palloni "détournati" alla maniera Lettere/Situazionista. Qualcuno ha detto scherzosamente che Alberto Perino, uno dei portavoce storici della lotta No Tav, assomiglia ad Abraracourcix, il capo villaggio portato in giro su uno scudo. E se qualcuno fa notare che Perino non è un leader, risponde: “Beh, nemmeno Abraracourcix comanda davvero, non riesce a farsi rispettare nemmeno dai portatori, guarda quante volte lo fanno cadere! E poi è tiranneggiato dalla moglie…”.

L'allegoria è perfino ovvia: la val di Susa come ultimo territorio libero, un angolo di mondo che resiste all'arrogante espansione di un impero, e per di più lo fa con gioia. Questa gioia è un vero e proprio enigma che il nemico non può spiegare. Qual è il segreto dei valsusiani? Hanno un druido che dà loro pozioni magiche? E c'è uno di loro che è caduto nel calderone da bambino? Chissà, forse è lo stesso Giacu.

All'eterogeneo pantheon ribelle No Tav, stiamo per aggiungere la tribù Mohawk e l'intera confederazione irochese. È il nostro omaggio alla lotta. Siamo venuti anche per questo. È la nostra quarta visita alla valle e, finora, la più intensa.

È la mattina del 24 marzo e piove. Piove poco, ma non smette da ieri, e alla lunga anche la leggerezza pesa, soprattutto se hai passato ore a marciare sotto la nuvola grigio chiaro gocciolante.

La marcia ieri è stata un successo. Il serpente era abbastanza lungo da non vedere né la testa né la coda. Per tutto il tempo pensavamo di essere nel mezzo della processione, e invece eravamo molto indietro. Mentre il capo era ormai a Bussoleno, la coda era appena partita da Susa. Otto chilometri. Settantamila, ottantamila, chissà quanti eravamo. Forse più dell'intera popolazione della val di Susa, che, a seconda di dove si parte, conta tra le sessantamila e le settantamila anime.

Siamo arrivati ​​in piazza quando i discorsi erano quasi finiti, c'erano "solo più" - come si dice in Piemonte - un centinaio di persone con l'ombrellone. Abbiamo sentito solo gli interventi dei vigili del fuoco No Tav, Paolo Ferrero della Rifondazione e un rappresentante del movimento No Tav-Terzo Valico.

Il vigile del fuoco, delegato del sindacato di base, ha ribadito la sua riluttanza al lavoro irregolare: "Noi non serviamo l'ordine pubblico, i nostri compiti non possono includere la repressione".

Ferrero è stato accolto con rispetto, è un vecchio compagno di lotta ed è nato e cresciuto nelle vicinanze, in Val Germanasca, pronunciando testamento düra da nativo, ma in pochi anni il suo partito ha perso, o dilapidato, l'enorme consenso che aveva nella valle.

La lotta al terzo passaggio è una lotta iniziata nel 2011 tra Liguria, Piemonte e Lombardia, ancora poco conosciuta a livello nazionale ma meritevole di grande attenzione.

Sotto la pioggia, incappucciati e fradici, abbiamo aspettato il passaggio per andare a cena e abbiamo parlato con alcuni amici, blogger e attivisti mediatici. Abbiamo commentato la diffusa sensazione che, dopo tanto tempo, il movimento possa vincere. La propaganda pro-Tav ha perso molti pezzi e argomenti per strada, non c'è ancora un progetto definitivo e i lavori stentano. Nella valle il movimento è largamente maggioritario, anche se vuole - nelle parole di Alain Badiou - "misurare il suo impatto politico sulla base del numero inerte e separato", cioè contando i voti. Il voto "tattico" per il Movimento 5 Stelle ha toccato punte del 58 per cento (a Venaus) e del 46 (a Bussoleno). Ora ci sono spaccature anche all'interno del partito che più "ha voluto fortemente" la grande opera. In valle il Pd era già spaccato, ci sono state espulsioni di amministratori..., ma a livello nazionale tutto sembrava immobile. Ora, come si suol dire, "volano gli stracci".

Questo movimento che da vent'anni si oppone a un lavoro inutile e privo di ragionamento, a una linea ferroviaria chimerica, fantasma, inverosimile, per realizzare la quale si invade un territorio e si trivellano montagne piene di amianto, uranio e radon. , questo movimento [inspira forte] non è mai stato così vicino alla vittoria.

C'è un problema: l'avversario non può ammetterlo. La megamacchina delle gare, degli stanziamenti, dell'indebitamento e delle carriere e reputazioni in gioco non può fermarsi all'improvviso. Troppe persone sbatterebbero il naso sul parabrezza. Inoltre, significherebbe riconoscere un'enorme sconfitta, certificare la vittoria del movimento, ammettere che era sempre giusto opporsi alla distruzione. La crisi di legittimità non risparmierebbe quasi nessuno degli apparati statali. Andrebbe ben oltre la solita disgrazia della "casta", verso qualcosa di molto vicino a una crisi di sistema. Ergo, tenere in funzione la megamacchina - e mantenere le apparenze in Val Susa - è anche una questione di principio. Il dissenso non può, non deve essere giusto.

Con quegli amici incappucciati abbiamo parlato di quello che dice Guido Fissore nel libro A will düra: “Se vinciamo, è la dimostrazione che possiamo vincere anche contro il governo, armato, ricco, con i media e così via. Non lo so, dobbiamo trovare una strategia di uscita per lui! Perché se no quelli non si arrendono! Dobbiamo trovarlo per loro. Dobbiamo suggerire un'uscita onorevole… Credo che nei libri di strategia militare ci sia sempre il fatto che devi dare una via d'uscita al nemico, altrimenti la guerra diventa troppo costosa. Non lo trovano, dobbiamo trovarlo per loro! ”.

Più tardi, tutti insieme, siamo andati a cena al ristorante-pizzeria di Patrick di Vaie (“È una pizzeria No Tav!”, hanno garantito). C'erano i suddetti media attivisti e c'era Simone, la nostra guida in Val di Susa, il militante che ci ha ospitato nella sua casa di Almese. Senza di lui, non leggeresti queste righe. C'era la sua compagna, Laura, e c'era Maurizio Piccione del comitato Spinta dal bass, che abbiamo assillato di domande.

Tutti, pur non risparmiando critiche al Movimento 5 Stelle, lo hanno votato “tatticamente”, come una volta votarono i Verdi o Rifondazione Comunista. Si trattava e si tratta di dimostrare che anche un movimento come questo - che non crede nella delega decisionale, è abituato ad avere pochissima rappresentanza e ha sempre misurato il proprio impatto in modi diversi da quelli "canonici" - può esprimere stesso nel campo della rappresentanza elettorale, mandando segnali e aprendo contraddizioni.

Quello che è successo ieri mattina al cantiere di Clarea - la visita/ispezione dei parlamentari Cinque Stelle (e alcuni di Sel), accompagnati da storici e esponenti del movimento altamente criminalizzati (anche Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna!) - è la prima fessura di una nuova frana, un primo "impossibile" che si verifica.

Come dice Ilvo Diamanti, i No Tav stanno usando il Movimento 5 Stelle “come un autobus”. Viaggiano aggrappati all'esterno, con i piedi sui predellini, e salteranno giù all'ultima fermata utile. Non è nel loro interesse arrivare al capolinea, ovunque esso sia.

La decisione, facilitata dalla candidatura di uno storico No Tav come Marco Scibona, non è stata indolore. La consapevolezza dei rischi c'è tutta, e in valle non c'è attivista che non ti dica: “Il movimento si sconfigge solo da solo”. Prima di venire qui, avevamo dei timori in tal senso, più o meno gli stessi espressi dalla Federazione Anarchica Italiana (sezione di Torino) nel volantino distribuito ieri al corteo:

«La presenza in cielo di un così grande numero di santi [i rappresentanti eletti del Movimento 5 Stelle in parlamento, ndr] potrebbe mettere in gioco meccanismi di delega istituzionale […] Il mix di populismo, giustizialismo, demagogia e La democrazia informatica della squadra grillina potrebbe fare più danni del pestaggio della polizia e delle indagini della procura di Torino".

Dopo la marcia e le numerose chiacchiere, e dopo che Perino ha tuonato dal palco che, Grillo o non Grillo, la lotta "è vinta dai No Tav, e tu vinci alle reti!", beh, non abbassiamo la guardia, ma abbiamo fiducia. Nel capitalismo le vif saisit le mort, ma un movimento che va avanti da vent'anni è il tipo di vita che i morti potrebbero non essere in grado di afferrare. Oppure, per dirla in altro modo, chi prova a mettere il cappello in testa ai No Tav, potrebbe perdere il cappello e basta, perché la testa non sta mai ferma. Del resto, anche gli anarchici della Capitale, con tutte le loro preoccupazioni, hanno chiuso il volantino su questa nota: "Chi con arroganza dichiara 'senza di me in Italia ci sarebbe una lotta popolare', credendo di poter imbrigliare i movimenti di resistenza in una formula demagogica , imparerà a sue spese che la voglia di libertà, la dignità del nostro presente e del nostro domani, i No Tav non hanno mai delegato a nessun padrino”.

Più prosaicamente, come ci ha raccontato un commensale: “In valle il rapporto con i grillini è diverso, anche il grillismo è diverso, perché si comportano in un altro modo. Per capire, certe cose sui migranti, qui, state attenti a non dirle”.

Mentre aspettavamo i caffè, abbiamo dato un'occhiata a ciò che si diceva in rete. Tutti parlavano di Berlusconi, Berlusconi, Berlusconi. La notizia è stata il suo incontro in piazza del Popolo a Roma. Sui media nazionali la marcia da Susa a Bussoleno è stata una notizia minore, e dove se ne è parlato quasi tutto lo spazio è stato dedicato alla visita “grillina” al cantiere. Nessuna sorpresa, tutto è stato preso in considerazione. Consueti sono anche gli insulsi scherzi dei yes-Tav, degli autoproclamati opinion leader e dei vip del giornalismo che affollano i social network. Ha riscosso molto successo una battuta di Vittorio Zucconi: “Per manifestare contro la Tav molti grillini si recheranno alla Tav. Gratuito. Fortunatamente per loro non c'erano i 5S ad impedirlo”.

Retweet, faccine, grandi risate da parte di chi non ha idea di cosa sia la Torino-Lione e a cosa presumibilmente servirebbe la Torino-Lione. Stanno pensando al trasporto passeggeri, al Frecciarossa, all'Italo... Ma anche se fosse così, ora è criminale ignorare che nell'Appennino tosco-emiliano i lavori per l'Alta Velocità (precisamente quelli per il Frecciarossa) hanno provocato enormi danni ambientali e devastazioni idrogeologiche. Gli Unni si sono mossi attraverso le montagne per un totale di settantatre chilometri di gallerie, inquinando il territorio, smaltindo abusivamente rifiuti, sfruttando abusivamente le falde acquifere, prosciugando cinquantasette chilometri di fiumi e lasciando interi comuni senza acqua. Ci sono state lamentele e processi. Pochi giorni fa, il 19 marzo, la corte di cassazione ha annullato la sentenza d'appello che assolveva i vertici di Cavet (gruppo Impregilo) e vari subappaltatori, alcuni gestori di cave e discariche e intermediari dei rifiuti. Una trentina di imputati. In primo grado sono stati condannati a diversi anni di reclusione ea risarcire cittadini per oltre centocinquanta milioni di euro.

- Eh, ma ci vuoi mettere la figata di andare da Bologna a Firenze in venti minuti invece che cinquanta come facevamo prima?

- Vero, risparmi mezz'ora preziose!

- L'unico inconveniente è che ora si viaggia al buio, sempre in galleria. Prima ci voleva un po' di più, ma si vedevano le montagne, i boschi...

- Non mi retrograderai? È il progresso, prendere o lasciare.

Poco dopo, tra il caffè e l'amaro, si è parlato del "significato della frase" che i No Tav hanno sviluppato. "A sar düra" è uno slogan bellissimo, efficace perché prosaico, ruvido, terroso, montuoso. Sottolinea lo sforzo necessario e lascia implicito il risultato finale. È il motto latino per aspera ad astra, ma senza promettere le stelle.

Un altro potente slogan è "andiamo e ci riuniamo". All'inizio si trattava di una semplice raccomandazione molto pratica per azioni dirette, come ci ha spiegato Simone: “Era come dire di non ritirarsi alla spicciolata, ognuno per conto suo. Dobbiamo aspettare che ci siano tutti, non lasciare indietro nessuno”.

In breve tempo questo precetto fondamentale ha trasceso la dimensione concreta, ora comunica un senso di unità. Andremo fino in fondo con il consenso di tutti, le "avanguardie di retroguardia" non si staccheranno e, se si staccano, a un certo punto si guarderanno alle spalle e scopriranno che nessuno le sta seguendo, perché il movimento avrà preso un'altra strada.

Badiou direbbe che la rivolta No Tav ha abolito i nomi separatori, cioè quei nomi che servono a indicare alle "persone normali" un nemico, un diverso, un minaccioso fuori standard. Nel caso dei movimenti, i nomi separatori mirano a dividere il "buono" dal "cattivo". "I violenti", "gli estremisti", "il black bloc" (più spesso scritto male, "black block")... Questi sono i nomi separatori che brulicano nei reportage mainstream e nei comunicati stampa dei politici.

Abbiamo visto e vissuto molte lotte, abbiamo visto i movimenti di massa consumarsi e crollare, rosicchiati al loro interno dall'azione dei nomi separatori. Solo con l'emergere della lotta No Tav abbiamo visto che la trappola del "buono contro cattivo" è sfacciatamente mancata. La finta opposizione non è passata, anzi, quando il potere ha provato a giocare quella carta, il movimento ne è uscito rafforzato. “Siamo tutti black bloc” è un'altra frase attuale, memorabile, penetrante che ha messo in crisi i manipolatori.

Questi ultimi hanno cercato di creare diavoli popolari nei modi più improbabili, andando ben oltre il grottesco, come quando un ragazzo della valle, Marco Bruno, fu trascinato alla ribalta nazionale nel ruolo di Nemico Pubblico, supremo rappresentante del "violento ", solo per aver parlato con un poliziotto in tenuta antisommossa e avergli detto: "Sei una bella pecora. Dovresti avere il numero di identificazione. Sai anche sparare? Faceva parte della strategia di logoramento che abbiamo descritto, come la ricerca di Giacu, il sabba delle streghe, il pestaggio sulle reti, il buongiorno e la buonasera insistenti... E poi, poiché esiste la disobbedienza civile, la i manifestanti si sono rivolti alle forze dell'ordine in modo pedagogico o provocatorio, cercando di metterle in crisi, di squarciare la corazza del servitore dello Stato fedele agli ordini.

Il 27 febbraio 2012 l'attivista No Tav e agricoltore diretto Luca Abbà per protesta è salito su un traliccio dell'alta tensione, dove è stato inseguito da un poliziotto. Per sfuggire al contatto si è arrampicato più in alto, ha preso la scossa ed è caduto da dieci metri di altezza. Mentre si trovava in terapia intensiva al Cto di Torino, il movimento occupava l'autostrada A32. È in quel contesto che Marco, in pausa dal lavoro, stanco, esasperato, inizia il suo dialogo senza risposte con il carabiniere. Una troupe della web tv del Corriere della Sera ha ripreso la scena e ne ha estrapolato un frammento, tagliando dieci minuti di discorso più pacato e, soprattutto, l'ultima frase: "Comunque vi amo lo stesso". In poche ore, la scena ha fatto il giro di Internet e poi della TV, dove è rimasta in forte rotazione per 48 ore. Marco è diventato il diavolo. Come sempre, sono stati tirati fuori, a sproposito e fuori contesto, i versi di Pasolini sugli scontri in val Giulia e sul delinquente si è buttata tutta la politica:

ROMA, 29 feb - I vertici del gruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola Latorre, hanno chiesto al Comando Generale dei Carabinieri di "poter stringere la mano in segno di solidarietà e di ringraziamento ai carabinieri che ieri in val di Susa fu vigliaccamente insultato da un manifestante privo di onore.

Nei giorni successivi il carabiniere ha ricevuto un encomio "per il suo lodevole comportamento di fronte alla grave provocazione". Marco, invece, è stato fermato, picchiato e portato via da uomini in divisa, che gli hanno dato due calci ai testicoli, dopodiché ha preso una denuncia per insulti (il processo è appena iniziato) e ha ricevuto decine di lettere minatorie e chiamate telefoniche. Per due settimane lui, la sua compagna e il loro bambino di due anni hanno dovuto cambiare casa.

Il movimento si stringeva intorno a Marco e non lo lasciava solo. Ieri al corteo in tanti lo hanno salutato, gli hanno stretto la mano, lo hanno abbracciato, anche chi lo ha incontrato per la prima volta. La valle resta vicina a tutti i criminalizzati, gli imputati, gli arrestati, i prigionieri. Perché partiamo e torniamo insieme.

Alla cassa, mentre pagavamo, la TV mandava in onda un notiziario. Si sono visti manifestanti pro-Berlusconi, qualcuno è stato intervistato. Alcuni di loro sfoggiavano con orgoglio una maglietta con uno slogan... infelice. Mi è sembrato subito un tentativo fallito di dire qualcosa di simile a "andiamo e torniamo insieme". Fallito, perché se ti sfugge il significato della frase, c'è poco che puoi fare.

Sulle magliette c'era scritto: "Dove andrà uno, andremo tutti".

Con grande naturalezza e quasi all'unisono, gli avventori hanno suggerito la meta.

È la mattina del 24 marzo e piove. Simone e Laura ci accompagnano a Clarea. Prima del cantiere avvistiamo dei cervi e, in mezzo al sentiero fangoso, incontriamo un'impassibile salamandra gialla e nera. Siamo arrivati ​​nella valle con due bandiere dei nativi americani: la bandiera guerriera dei Mohawk ("bandiera guerriera Kahnawake") con l'indiano di profilo su uno sfondo rosso militante, e quella degli Irochesi Sei Nazioni, con pino e rettangoli bianchi su un sfondo viola, a simboleggiare le prime cinque tribù che molti secoli fa si unirono su iniziativa di Hiawatha il Pacificatore: seneca, onondaga, cayuga, oneida e mohawk. A loro, nel Settecento, si unirono i tuscarora.

Per secoli gli Irochesi si tramandarono oralmente una vera e propria costituzione, forse la più antica del pianeta: la Legge della Grande Pace, o Gayanashagowa. Marx dei quaderni etnologici ed Engels dell'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato erano interessati ai loro usi, alle loro istituzioni e al loro concetto di proprietà. Molto è stato scritto sulla loro democrazia diretta, consiliare e consensuale e sull'influenza che il loro federalismo ha avuto sulla costituzione americana attraverso Benjamin Franklin. Riferimenti illuminanti agli Irochesi si trovano in diverse opere dell'antropologo anarchico David Graeber.

Nel nostro piccolo ci siamo occupati anche degli Irochesi, in due libri e in storie diverse. Negli anni zero abbiamo visitato le riserve tra gli Stati Uniti e il Canada e abbiamo fatto un pellegrinaggio alle tombe di Joseph Brant Thayendanega (leader guerriero e traduttore Mohawk del Vangelo di Marco) e sua sorella Mary ("Molly") Brant Johnson Degonwadonti. Dal nostro ultimo viaggio, nel 2008, abbiamo riportato le bandiere, in attesa di poterle utilizzare. Ieri le abbiamo regalate a Simone e Laura, e ora le sventoleremo in cantiere. Mi sembra appropriato: i No Tav si sono più volte definiti "indiani della valle".

Come tutti avevano previsto, nessuna foglia sembra muoversi in cantiere. Silenzio, niente frastuono di trapani e macchinari. I bipedi che si aggirano tra i recinti sono tutti armati e in divisa. Forse perché è domenica? Eppure, sulla carta, il cantiere non onora le feste. Lavoriamo sodo sulla carta. L'impressione è quella di tanti "solitari" in corso sugli schermi degli smartphone. Non stupisce che i No Tav l'abbiano sempre chiamato il “cantiere non edilizio”. Documentarne la nullità, giorno dopo giorno, è uno dei giochi preferiti del movimento, e ieri mattina la visita/ispezione dei parlamentari ne ha fornito la conferma: in due anni di presunta attività, tutto ciò che è stato fatto è un buco nella montagna di poche decine di metri. Il cantiere è in realtà un forte, poco più che un presidio simbolico. Serve a dimostrare che "tutto va". È necessario dimostrare che "tutto sta procedendo", in attesa che qualcuno trovi la famosa via d'uscita "onorevole".

La maggior parte degli italiani crede che i lavori della Tav siano già iniziati, ma il buco che stanno scavando non è quello attraverso il quale passerebbe il treno, bensì un semplice "tunnel geognostico" volto a studiare la conformazione delle montagne. Dovevano farlo a Venaus, il tunnel, ma nel 2005 la protesta popolare li ha costretti a cambiare sponda del Massiccio d'Ambin, ea venire qui in Val Clarea, tra Chiomonte e Giaglione. Questo è un luogo meno facilmente accessibile, o almeno così pensavano. I No Tav ebbero la brillante idea di acquistare il terreno, per opporsi legalmente agli espropri. Anni di scontri e rallentamenti, poi c'è stata l'epopea della Libera Repubblica della Maddalena. Dall'estate 2011 il cantiere dovrebbe funzionare, ma invece...

Quanto ai lavori veri e propri, quelli per la galleria ferroviaria, sono molto lontani dall'inizio. Secondo le stime dell'Osservatorio Torino-Lione, si spera che inizino nel 2014, finiscano nel 2035 (sempre se tutto va bene) e la linea comincerà a produrre benefici nel 2073, cioè tra sessant'anni. Una bella manifestazione di hỳbris, per predire la storia dei prossimi sessant'anni.

In realtà non esiste ancora un progetto esecutivo. Ogni richiesta di vederlo rimbalzava contro un muro. Senza il progetto, neanche questo cantiere dovrebbe esistere. Intanto, anche in Francia, i lavori sono lontani dall'inizio, mentre il cosiddetto "corridoio 5", che doveva portare da Lisbona a Kiev, è stato tacitamente accantonato, come dimostrano Luca Rastello e Andrea De Benedetti nella loro indagine Dead binary . Alla scoperta del Corridoio 5 e dell'alta velocità che non c'è (Chiarelettere 2013). Non ci sono soldi, e sempre più esperti considerano il megalavoro inutile e inutilmente costoso.

Ancora più inutile e dispendioso, oltre che dannoso per l'ambiente e la salute dei cittadini, sarebbe la Torino-Lione, di fatto “orfana” del grande progetto. All'inizio, nel 1989, la linea ad alta velocità era stata progettata per il trasporto passeggeri, come le altre in programma. Ma esisteva già una linea Torino-Lione, più volte modernizzata nel corso degli anni, e viaggiavano pochi passeggeri. Si pensò quindi di convertire il progetto al trasporto merci e si diffusero previsioni trionfalistiche sui benefici che ne deriverebbero per l'economia. Peccato che, su quella rotta, il traffico merci sia in costante calo da circa quindici anni. La “vecchia” Torino-Lione trasporta ogni anno tre milioni di tonnellate di merce, ma potrebbe trasportarne sei o sette volte tanto.

Se le merci sono poche, il treno è già lì e il corridoio 5 è tra coma profondo e morte clinica, che senso ha spendere miliardi e miliardi di euro (che non ci sono) per i tunnel faraonici, peraltro in montagne stipate di dannosi e minerali radiotossici? Già adesso, in valle, si respira amianto oltre i limiti di legge, e per farsi il mesotelioma basta inalare una sola microfibra. Che senso ha rubare denaro pubblico da destinazioni ben più utili, occupare militarmente un territorio, distruggere raccolti, picchiare e mettere in galera persone, inimicarsi un'intera popolazione, indebitare i posteri…?

A queste obiezioni molto sensate, mosse anche da professori del Politecnico di Torino, ingegneri, geologi, esperti di economia dei trasporti, ecc., la lobby delle Grandi Opere ha sempre e solo risposto in modo ideologico, quando non sfacciatamente febbrile. È progresso! Siete reazionari!

In realtà le cose sono molto più terra terra: ci sono soldi già stanziati e spesi, impegni da "rispettare", contratti, subappalti, nomi e cognomi messi in gioco, mani che stringono scroti... Solo che, con il passare dei mesi e anni, il progetto appare sempre più poco plausibile ed evanescente.

Questo stallo, questo paesaggio di facciate senza edifici, il movimento No Tav descrive da anni con dossier, perizie, dati, infografiche e documenti riservati resi pubblici da Anonymous. Ormai il movimento ha acquisito sempre più competenze tecniche e scientifiche. Gli specialisti arrivati ​​in valle hanno stimolato l'autoformazione e oggi il militante medio ha una conoscenza di fatti che molti pseudo-esperti sui giornali nemmeno si sognano. La disinformazione è forte, gli interessi in gioco sono trasversali, la sconfitta non si può ammettere, tutti sanno che una sarà düra, ma questo movimento può vincere.

Ci vedono dal basso ed escono per identificarci. Ne arrivano undici: una digos e dieci agenti con elmetti e manganelli. Sguardi tristi, facce lunghe. Consapevolezza che la gioventù passa e va e non torna più, ogni domenica è una domenica in meno che te ne sei andata e l'hai trascorsa qui.

Diamo loro i documenti. Mentre li controllano, Simone inizia il suo lavoro sui fianchi della digossina.

- L'altro giorno, ad Avigliana, un tuo collega mi ha detto che non ce la fai più.

- Beh, non è che lo facciamo perché ci piace...

- Sicuramente ti piacerebbe trascorrere le tue giornate in un altro modo.

- O essere impiegato in qualcosa di più utile. L'anno scorso, su 160mila giornate uomo impiegate dalla polizia in provincia di Torino, 130mila sono state qui in valle. Cioè, l'80 per cento del lavoro delle forze dell'ordine viene utilizzato per difendere la Tav.

- Sì, ma c'è il dovere e il dovere.

Alla fine ci danno i documenti e li lasciamo andare. Tornano, tristi e piegati, nella loro prigione a cielo aperto. Saliamo ancora un centinaio di metri, poi apriamo le bandiere indiane e le sventoliamo sotto questa pioggia sottile.

“La prossima volta li alleveremo lì dentro”, dice Simone. “Sulle macerie del cantiere”.

La mattina dopo, mentre stiamo ancora dormendo, riprendono le azioni dirette. A Chiomonte decine di attivisti bloccano diversi mezzi e una gru diretti a Clarea.

La lotta è così vinta, da No Tav.

Con Padre Pio, se proprio serve, ma senza contare sui santi in cielo.

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