LE STORIE DI PAOLO SOPPLSA EPISODIO numero 101 - Radio Più

2021-11-16 11:52:49 By : Mr. Maurice Deng

L'ATRIOL DE LA CROS

Una vecchia galleria Il fascino e la malinconia di una strada abbandonata da oltre vent'anni. L'antico tunnel "delle Anime"; ex Strada Statale 346 del Passo San Pellegrino. Porta di una valle dove la montagna diventa una vera montagna. Dove il gelo in inverno può colpire duramente. E la neve è sempre tanta. Valle del Biois. Boschi di abeti e un ruscello spesso nervoso. Un tunnel stretto e in pendenza. Con i ghiaccioli che in inverno creavano straordinari giochi di luce, illuminati dalle lampade arancioni al mercurio. Poi uscivi e trovavi luoghi dai nomi un po' inquietanti: "Crepa granda", il "Valscure", tutti dominati dall'incombente montagna delle Anime. Il tutto in poco meno di un km. Chissà quanti veicoli sono passati sotto la sua volta annerita. Auto di turisti ed emigranti che andavano a lavorare a Bolzano. E poi biciclette e corrieri, camion e betoniere. E anche un futuro Papa nato a Forno di Canale. Tunnel severo, percorso quotidianamente da gente di montagna abituata a queste strade ricche di fascino e anche di insidie. La vecchia galleria delle "Anime" suscitò un solenne timore in quel primo pomeriggio d'inverno di tre anni fa. Il tratto in disuso dell'ex strada statale che da Cencenighe sale verso Vallada è stato chiuso nella morsa del gelo. All'interno del tunnel nessuna luce. Le vecchie lampade al mercurio arancione sono spente per sempre, così come i neon installati qualche anno fa. Un silenzio di pietra regnava nel ventre della grande frana delle Anime. Non una goccia d'acqua scorreva nella volta; nessun gocciolamento ipnotico a scandire un tempo senza tempo. Grossi pezzi di ghiaccio ricoprivano la carreggiata. Sopra scintillanti ghiaccioli, meravigliosi e inquietanti, pendevano dalla volta oscura. Non l'ho camminato quel giorno come facevo spesso d'estate; Mi sono spinto fino alla fine della sezione artificiale e poi mi sono fermato. C'era buio assoluto, l'asfalto era completamente ghiacciato e le stalattiti di ghiaccio sembravano terribili armi medievali pronte a colpire. Così sono tornato sui miei passi e ho preso il sentiero esterno che all'epoca non era ancora una strada sterrata. Il cielo era pesante e sembrava chiamare neve; e l'atmosfera che si respirava era quella del "day after". Era passato poco più di un mese da Tempesta Vaia e le ferite inferte al territorio continuavano a sanguinare. Il Biois scorreva tra i sassi ricoperti di "brosa" e il letto del fiume era ingombro di grossi massi e alcune piante franate. Le sponde parzialmente erose e le briglie ammaccate completano quel quadro piuttosto desolante. Pochi minuti dopo raggiunsi l'imbocco nord della vecchia galleria e, proseguendo per qualche decina di metri, mi trovai nei pressi della Crepa Granda. Maestoso era lo sperone tetro e strapiombante di roccia fratturata che sembra sfidare le leggi della fisica: la sua roccia umida, che al tocco si riduce a scaglie, è ricoperta da numerosi strati di rete metallica di diverse forme; e poi numerosi tiranti e un paio di muri di contenimento cercano di stabilizzare quel precario equilibrio che induce il passante ad accelerare il passo. Sotto il grande sperone, incastonato nella roccia e sovrastato da reti paramassi, quell'illeggibile lapide provoca un goffo getto di cemento; enigmatico per chi non lo sa, triste ricordo per chi conosce quella storia che, purtroppo, a volte si rinnova in montagna anche oggi. Storie di massicce nevicate e potenti "levine" che a volte non lasciavano scampo a quegli sfortunati viaggiatori che percorrevano a piedi questi severi sentieri. Il nuovo asfalto precocemente invecchiato, i cumuli di rami "ingrumai 'nte le cunete" e il tubo volante dell'acquedotto posato sul manto stradale erano un'ulteriore testimonianza di quanto era accaduto poco più di un mese prima. Anche il paesaggio era cambiato, e ora si vedevano bene le case di Mas di Vallada: gli alti abeti che le nascondevano alla vista non c'erano più, abbattute da "quel" vento. Ho osservato i vecchi guard rail, le ringhiere verdastre consumate anni '70 e quei segnali di "pericolo caduta sassi" che sono sempre attuali da queste parti. Il tempo sembrava essersi fermato quando gli autobus erano dipinti di blu e il suono delle loro trombe bicolore risuonava ad ogni curva e tuonava nel tunnel. La meta del mio viaggio era ormai a poche centinaia di metri e mentre avanzavo lungo la strada in leggera salita mi chiedevo: “Sarà ancora l'Atriol de la Cros? O elo dut a fenì fora par the water...". Pochi giorni dopo la tempesta l'avevo cercato con lo sguardo "dai or de l'Anime"; ma da lassù non l'avevo potuto vedere . Invece avevo visto il letto del Biois che, nei pressi di Mas di Vallada, si era allargato con forza e le ghiaie sembravano quelle di un quasi fiume. Quel giorno, mentre guardavo le ruspe spostare dall'alto quel mare di ghiaia, ho pensato che poco più a valle l'alveo si restringe improvvisamente proprio nel punto in cui sorge l'Atriol.Pensavo all'enorme massa d'acqua che scorreva lungo la Val del Biois in quei due giorni d'inferno: e sinceramente ero convinto che non avrei trovo l'antico capitello datato 1361. Pochi minuti dopo ho preso la strada sterrata che scende al ponte che attraversa il Biois e mentre camminavo mi sono venute in mente le parole di mio padre dette poco tempo prima. i danni provocati dalla "Brentana" e in quel frangente mi venne in mente il caro vecchio Atriol; in avaralo grasso l'Atriol con chel casin de acqua che trafigge il vegnù? Ho chiesto. La risposta era abbastanza chiara; « Onde vosto che 'l sie dut, lè lè' ncora l' inte bit!! 'No' l sa movest gnanca del '66', fegurase se non lè ncora là!!. vide la croce di ferro che svetta in cima al grande masso e, subito dietro, il capitello perfettamente intatto. In quell'occasione mi fermai all'ingresso del ponte che era chiuso al transito e non potevo toccare la pietra superiore dell'arco. Quella pietra levigata da chissà quante mani di viandanti che si fermavano per una preghiera affinché il loro cammino fosse protetto dai pericoli. Ho guardato l'Immacolato Atriol, nemmeno sfiorato dalle furiose acque del Biois, e ho pensato alla saggezza degli antenati che l'hanno costruito in quel punto particolare. Da oltre seicentocinquanta anni è in continua sfida con le acque talvolta rabbiose del Biois; e vince sempre. Il cielo era pesante e il freddo cominciava a farsi sentire quando mi incamminai prima sulla strada sterrata e poi sulla vecchia autostrada. E mentre superavo di buon passo lo sperone della Crepa Granda mi dicevo ad alta voce: Atriol batte Vaia uno a zero, te ha vinzest 'naltra ota tì… Magiche Dolomiti!!

Le storie di Paolo Soppelsa

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